01/08/2024
La disciplina della responsabilità degli amministratori ha nel corso del tempo ricevuto diversi interventi legislativi. Questa è generalmente solidale, può variare in funzione dei doveri e del ruolo ricoperto dai singoli amministratori all’interno della società. Diversamente, viene considerata individuale quando questi sono a conoscenza di fatti pregiudizievoli e non hanno fatto quanto potevano per impedirne il compimento o eliminare o attenuare le conseguenze dannose (art. 2392 co.2 c.c.). Frutto della riforma societaria del 2003, la valutazione dell’adeguatezza dell’assetto organizzativo, amministrativo e contabile della società – ai sensi dell’art. 2381 c.c. – rientra tra i principali compiti del consiglio di amministrazione. Questa deve essere fondata sulla base delle informazioni ricevute, sul lavoro svolto e sulla posizione della società. L’eventuale inadeguatezza degli assetti adottati può esonerare dalla responsabilità di colpa per fatto proprio gli amministratori delegati. Gli altri sono comunque tenuti ad agire in modo informato; ciascun amministratore può chiedere agli organi delegati che in consiglio siano fornite le informazioni relative alla gestione della società (art. 2381 co.6 c.c.). Nella prassi, tuttavia, il rischio di una responsabilità solidale tra amministratori delegati e deleganti in realtà è molto più alto, in quanto è difficile che una situazione di inadeguatezza degli assetti organizzativi non sia a conoscenza degli amministratori privi di delega. La verifica della adeguatezza dell’assetto organizzativo, amministrativo e contabile rientra nella Business Judgement Rule degli amministratori (principio di insindacabilità della gestione), pertanto una chiamata in responsabilità, per essere fondata, deve essere in grado di dimostrare gravi anomalie tra gli assetti adottati e la natura della gestione dell’impresa. Tuttavia, il legislatore non fornisce una risposta concreta alla domanda “in quali situazioni l’assetto organizzativo è incompatibile o inadeguato allo svolgimento della gestione della società?”. L’articolo 2086 co.2 c.c. da solo non sembra essere sufficiente a chiarire la situazione. A tal riguardo esiste rilevante giurisprudenza in materia di adeguatezza degli assetti nata da denunce al tribunale che affermavano come la mancanza di una adeguata organizzazione rappresenti una grave irregolarità degli amministratori ex art. 2409 c.c. Ciò avverrà in occasione di liquidazioni giudiziali o di concordati liquidatori nei quali la legittimazione all’azione spetta in via esclusiva o concorrente agli organi delle procedure concorsuali. Il problema sarà quello di quantificare il danno derivante dalla mancanza di adeguati assetti, quantificazione non semplice in quanto non è agevole individuare una causalità diretta tra la mancanza di adeguati assetti e danno. In definitiva, la gestione e la prevenzione della crisi sono momenti cruciali della vita di un’impresa e dipendono da un assetto organizzativo in grado di rilevarla tempestivamente. La capacità di implementare un modello flessibile e in grado di rispondere rapidamente ai dissesti della società deve essere il primo passo da muovere per anticipare la crisi ed evitare quindi di dover ricorrere a istituti di regolazione.
23/07/2024
Il Consiglio dei Ministri ha recentemente approvato in via preliminare il terzo decreto correttivo nei confronti del D.Lgs n. 14/2019, intervenendo prevalentemente sulle norme del CCII, nello specifico sull’articolo 25 quinquies (limiti di accesso alla composizione negoziata). Sul precedente testo (ora modificato dal nuovo articolo 5, comma 14, del correttivo-ter) si erano sviluppate due tesi interpretative contrapposte: una restrittiva e una estensiva. Nel primo caso, l’accesso alla composizione negoziata era impedito solo nei casi in cui è il debitore stesso ad aver presentato un ricorso per la propria liquidazione giudiziale. Nel secondo, invece, l’accesso alla composizione negoziata era impedito, oltre che per l’ipotesi appena descritta, anche nei casi in cui sia stato precedentemente depositato un ricorso da un creditore sociale o da uno dei soggetti elencati dall’articolo 37, comma 2 CCII. L’intervento del correttivo-ter modifica la prima parte del testo dell’art. 25 quinquies (“L'istanza di cui all'articolo 17 non può essere presentata dall'imprenditore in pendenza del procedimento introdotto con domanda di accesso agli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza anche nelle ipotesi di cui agli articoli 44, comma 1, lettera a), e 74 o con ricorso ai sensi dell’articolo 54, comma 3”), lasciando invariato il secondo periodo per cui resta impossibile per l’imprenditore che anche abbia rinunciato alle domande indicate nel primo periodo nei quattro mesi precedenti, inoltrare domande di accesso alla composizione negoziata. Il problema interpretativo dei limiti di accesso alla CNC è sicuramente risolto, nel senso che l’imprenditore non può inoltrare la domanda di accesso all’istituto della composizione negoziata solo nell’ipotesi in cui abbia fatto ricorso per l’apertura della liquidazione giudiziale. Resta ferma quindi la libertà di poter accedere alla composizione negoziata se il ricorso è promosso da un creditore o dal PM. In conclusione il Legislatore torna sui suoi passi, riprendendo quella che era la precedente formulazione, non solo per porre fine al contrasto interpretativo di cui abbiamo parlato, ma anche per conformarsi a quelle che sono le finalità della direttiva Insolvency, dando modo alle imprese risanabili di accedere più facilmente tanto agli strumenti di regolazione della crisi quanto al percorso di composizione negoziata della crisi d’impresa.
20.06.2024
Il Consiglio dei Ministri nella riunione del 10 giugno 2024 ha approvato in via preliminare lo schema di decreto legislativo con disposizioni integrative e correttive al Dlgs 14/2019 che apporta una serie di novità al testo originale PCM – comunicato 10 giugno 2024 n. 85; CNDCEC – comunicato 10 giugno 2024).
Trattasi del terzo decreto correttivo apportato al codice e si inserisce nel quadro degli impegni assunti con il PNRR. Il provvedimento conta più di 50 articoli volti a correggere alcuni difetti di coordinamento normativo emersi a seguito dei precedenti correttivi, emendare alcuni errori materiali, aggiornare riferimenti normativi, quindi, fornire chiarimenti ad alcuni dubbi interpretativi emersi in sede di applicazione.
Esso rappresenta una svolta fondamentale per la piena riuscita dello stesso codice, infatti le modifiche apportate risultano estremamente significative sia per i professionisti ordinistici impegnati nella gestione della crisi di impresa sia per la riuscita dei nuovi istituti previsti dal codice.
Tra le principali novità ci sono le modifiche all’articolo 25-octies in cui viene rivisto il meccanismo della segnalazione anticipata per l’emersione della crisi d’impresa: attenuazione o anche esclusione della responsabilità per i sindaci (art. 2407 c.c.) che siano attivati tempestivamente con la segnalazione all’organo amministrativo entro il termine di 60 giorni dalla conoscenza effettiva della condizione di crisi.
Un’altra novità rilevante riguarda il ruolo dei professionisti coinvolti. in particolare all’ articolo 356, l’albo dei Gestori diventa un semplice elenco, con un riconoscimento delle prerogative degli ordini professionali: si differenziano così i professionisti ordinistici da quanti non lo sono e per loro viene meno l’obbligo del tirocinio attualmente previsto.
Vengono ridotti gli obblighi di aggiornamento e si dispone che gli Ordini possano stabilire criteri di equipollenza tra l’aggiornamento biennale e i corsi di formazione professionale.
Altra novità riguarda la composizione negoziata. Nel codice viene introdotta la disciplina degli accordi transattivi per i crediti tributari, la quale favorirà la diffusione della composizione negoziata e la riuscita delle trattative nei casi in cui l’indebitamento principale sia nei confronti dell’Erario.
23/05/2024
Il rapporto tra la tutela del creditore in sede civile e la presenza di sequestri e confische penali ha assunto col tempo una sempre maggiore rilevanza data dalla necessità di adattare le esigenze private dei terzi creditori a quelle pubbliche tipiche dei procedimenti penali. Sotto il profilo civilistico, è riconosciuta la possibilità del creditore di aggredire il patrimonio del debitore, costituendo su parte di questo un vincolo giuridico. Di contro, dal punto di vista penale, il nostro ordinamento riconosce lo strumento della confisca penale come elemento necessario ad assicurare la repressione delle organizzazioni criminali e delle commissioni di attività illecite. Il contrasto nasce quindi tra l’interesse delle due parti coinvolte: stato e creditore. Da un lato deve essere assicurata l’efficacia della misura di prevenzione patrimoniale, dall’altro è evidente l’esigenza di dover tutelare il terzo estraneo agli illeciti commessi. Per quanto vanti un legittimo diritto di credito, non è inverosimile lo scenario nel quale il terzo si veda privato dei beni attraverso i quali avrebbe potuto soddisfare il proprio credito. Tale situazione è stata oggetto di una specifica disciplina che il legislatore ha inserito all’interno del Titolo IV del Codice Antimafia. Il testo dell’articolo 52 (diritti dei terzi, d.lgs 159/2011), infatti, elabora la tutela del creditore nell’ambito di un procedimento ablativo disposto a carico del debitore. I requisiti necessari al riconoscimento della tutela sono elencati dal testo dell’articolo, per quanto questi abbiano subito diverse modifiche a seguito dell’introduzione del Codice Antimafia. Il testo originale dell’art. 52 prevedeva che il credito potesse essere riconosciuto qualora non fosse strumentale all’attività illecita del proposto, a “meno che il creditore dimostri di avere ignorato in buona fede il nesso di strumentalità”. Quindi il creditore era tenuto a provare soltanto la mancanza di strumentalità del suo credito e, nel caso non vi fosse riuscito, avrebbe potuto vedere comunque riconosciute le proprie pretese dimostrando di avere acquisito il credito in buona fede. Con la legge 161/2017, i presupposti di accesso alla tutela sono stati modificati, imponendo al creditore la dimostrazione che il credito non sia strumentale all’attività illecita del proposto (come nel testo originale), “sempre che il creditore dimostri la buona fede e l’inconsapevole affidamento”. Non sarebbe stata quindi più necessaria la sola dimostrazione dell’assenza di strumentalità, ma anche quella della propria buona fede. L’estrema rigidità del nuovo testo è stata recente oggetto d’esame della sentenza n. 30153 dello scorso 23 luglio, attraverso la quale la Suprema Corte ha affermato che nulla cambierebbe dalla norma previgente, lasciando quindi invariata la situazione circa la necessaria dimostrabilità della buona fede. Ancora, i giudici di legittimità hanno specificato che per gli istituti di credito l’accertamento della buona fede sia vincolato al tipo di attività svolta e dai rapporti patrimoniali e personali pendenti tra le parti. L’obiettivo del legislatore, con l’articolo 52 e quanto più confermato dall’intervento della Suprema Corte, è stato quello di introdurre una specifica tutela della figura del creditore nei conflitti con le misure ablative che spesso lo vedevano come parte danneggiata per gli illeciti commessi dal debitore.
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